Tra una settimana sarà Natale, ma che Natale sarà?
Questo pensiero si porta dietro la nostalgia dei ricordi che scorrono come al rallentatore.
Se potessi scrivere una lettera alla me del 1979 le direi di essere strafelice perché gli anni in arrivo saranno una esplosione di vita, di colori, di suoni, di emozioni. E le direi di imparare bene The logical song, perché un giorno purtroppo il significato apparirà in tutta la sua chiarezza.
Se potessi scrivere una lettera alla me del 1989 le direi che quello è stato il primo di trentadue anni di lavoro che mi piaceranno ma che devo dare ascolto al desiderio di studiare e pretendere di più per me stessa. E le direi di battersi perché così come a Berlino, tutti i muri vengano abbattuti.
Se potessi scrivere una lettera alla me del 1999 le direi che tutta quell’idea del duemila è soltanto una grande bolla di sapone e che il futuro in arrivo ha indosso una maschera che nasconde il regresso. E le direi che una cosa è conoscere il sentiero giusto, un altro è imboccarlo.
Se potessi scrivere una lettera alla me del 2009 le direi di non illudermi che la crisi stia per finire e di prepararmi a vivere la recessione. E le direi che The Resistance non è soltanto il miglior album rock.
Se potessi scrivere una lettera alla me del 2019 le direi di vivere ogni singolo minuto con la consapevolezza dell’enorme valore dei semplici momenti che per quanto banali, cambieranno. E le direi che stanno per accadere cose alle quali non avrei mai mai creduto.
Stanislav Evgrafovič Petrov: non tutti conoscono questo nome, eppure è il nome di un uomo al quale dovrebbe andare gratitudine universale.
Era il 1983, anno in cui ARPANET ha adottato il protocollo TCP/IP che è diventato la moderna Internet, anno in cui Microsoft rilascia la prima versione di Word per MS-DOS, ma anche anno in cui Reagan pronuncia il famoso discorso che avvia l’Iniziativa di Difesa Strategica: SDI, più comunemente conosciuta come “scudo spaziale” che alcuni mass media hanno anche ribattezzato Star Wars – Guerre Stellari.
Un discorso basato sulla necessità di fronteggiare un eventuale attacco nucleare da parte dell’Unione Sovietica che si concludeva così: miei concittadini americani, stasera stiamo lanciando uno sforzo che contiene la promessa di cambiare il corso della storia umana. Ci saranno rischi e i risultati richiedono tempo. Ma credo che possiamo farcela. Mentre varchiamo questa soglia, chiedo le vostre preghiere e il vostro sostegno.
Dall’altra parte del mondo, allo stesso modo, erano pronti ad intercettare qualsiasi missile attraverso il sistema satellitare OKO, implementato con un nuovo software: Krokus (che nella mia mente visualizzo come un fiore).
Come se non bastasse la tensione creata da Reagan nel definire la Russia “impero del male,” il primo settembre un Boeing partito da New York con destinazione Seul viene abbattuto per “sconfinamento nello spazio aereo sovietico.”
In questo clima di preallarme estremo, si arriva al 26 settembre, giorno iniziato da soli quattordici minuti quando accade qualcosa che potrebbe provocare una terribile reazione a catena.
Davanti al monitor nella base Serpukhov 15 c’è un analista, chiamato a sostituire un collega, quando il sistema segnala un missile e tutti gli allarmi iniziano a suonare.
Nei minuti successivi cala l’angoscia insieme ad altri quattro segnali per un totale di cinque missili diretti verso l’Unione Sovietica.
Tu cosa avresti fatto? Come avresti reagito?
Per nostra fortuna Stanislav Petrov ha saputo mantenere la calma e soprattutto ha deciso di seguire il suo istinto, evitando di far partire una chiamata che si sarebbe rivelata fatale.
La verifica sui radar infatti non rileva alcunché e poco prima del previsto impatto Krokus cancella i segnali, riprendendo il suo normale funzionamento.
Krokus forse era più sensibile alla Natura che alla tecnologia dato che i successivi accertamenti hanno rivelato la causa “dell’abbaglio:” i riflessi di luce dei raggi solari sulle nuvole.
Molnija: Молния in russo significa fulmine ed è il nome che è stato dato a una serie di satelliti, che sono stati lanciati in un’orbita altamente ellittica per consentire loro di raggiungere le regioni dell’estremo nord del Paese.
Questi satelliti quel 26 settembre si trovano allineati al sole e alla terra sulla quale i raggi cadono perpendicolari per l’equinozio e ciò causa l’inganno, tanto da passare alla storia come Incidente dell’Equinozio di Autuno.
Il destino ha voluto “allineare” anche Petrov, che non avrebbe dovuto essere in servizio.
In un’intervista rilasciata a Time, Petrov dice: “se avessi inviato il mio rapporto su per la catena di comando, nessuno avrebbe avuto nulla da ridire.”
Io però vorrei mostrarti queste brevi dichiarazioni alla BBC
Più che dalle parole sono stata colpita dalle immagini.
Un uomo semplice. Pochissime cose. Le sigarette uniche compagne. E quei tre libri.
Non riesco a cancellare dalla mente l’immagine di quei libri: invecchiati come lui, sottili, ingialliti, sdraiati, solitari.
Non potendo leggerli cerco di leggere sul suo volto l’umanità. La capacità di comprendere l’eventualità dell’errore, di contemplare la fallibilità, di accettare il dubbio e di seguire l’istinto.
Praticate gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di sensoil popolare precetto di Anne Herbert è stato ampliato da Margaret Pavel in un messaggio potente per la nostra epoca e per tutte le età. Combinato con l’acquarello di Mayumi Oda nello stile giocoso dei rotoli di immagini del Giappone del XII secolo, offre gioia e saggezza senza tempo.
Non so tu, ma io in questi giorni sento davvero l’esigenza di ri-condividere questa frase.
Si narra che sia stata scritta sulla tovaglietta di carta di un ristorante e io credo esattamente che tutte le migliori ispirazioni nascano più o meno così.
Quindi vorrei scriverla ovunque sia possibile, ma soprattutto sul cuore.
Vorrei scrivere keep calm and spread random kindness.
Sento e leggo troppo odio.
Non mi interessa una parte o l’altra, non mi interessa sopra, sotto, prima o dopo, perché quando si diffonde l’odio nessuno ha ragione.
Eppure ne abbiamo di storia alle spalle, e non ci mancano certo gli esempi.
Solo il tuo nome è mio nemico: tu sei tu … Prendi un altro nome. Che cosa c’è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo. Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d’avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome?
Queste sono parole che tutti conosciamo praticamente a memoria. Sono parole “antiche,” ma solo per essere state scritte nel 1595 ma tristemente potrebbero essere di ieri.
Nessuno nasce odiando un’altra persona a causa del colore della sua pelle, del suo background o della sua religione. Le persone devono imparare a odiare e, se possono imparare a odiare, gli si può insegnare ad amare, perché l’amore è più naturale per il cuore umano rispetto al suo contrario.
Altro esempio da brividi, non serve nemmeno scrivere di chi sono queste parole.
Abbiamo aumentato la velocità, ma ci siamo chiusi in noi stessi. Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno dato povertà, la scienza ci ha trasformato in cinici, l’abilità ci ha resi duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità. Più che d’intelligenza abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto.
Dopo avermi parlato dei cortili italiani Lela mi ha raccontato che si sono da poco conclusi i ballottaggi per l’elezione a sindaco di Tbilisi e che è stato riconfermato Kakha Kaladze (in georgiano :კახაბერ კალაძე) per il secondo mandato.
Nonostante la mia ignoranza calcistica venga periodicamente presa a picconate da mio figlio nel suo tentativo di illuminarmi, quando Kakha Kaladze, o più precisamente Kakhaber Kaladze viene trasferito dal Dinamo Kiev al Milan, lui non era ancora nato.
I numeri delle sue vittorie parlano chiaro: con il Milan ha vinto uno Scudetto, una Coppa Italia, una Supercoppa di Lega, due Champions League, una Supercoppa europea e un Mondiale per club.
E la sua attuale vittoria in campo politico segue precedenti incarichi altrettanto rilevanti come Ministro dell’Energia e delle Risorse Naturali e successivamente vice premier.
Una famiglia bellissima a coronare anche la vita privata: quattro figli avuti con la moglie Anouki Areshidze fashion designer anche se, ancor più delle creazioni, la mia attenzione è stata attratta da questo cappellino del Café de Flore, curiosa coincidenza?
Il loro primogenito si chiama Levan. Chi conosce già la vita di Kakha Kaladze ne ha ben chiaro il motivo.
Io, tanto per cambiare, l’ho scoperto solo ora.
Nella foto si vede anche il monumento alla Libertà che rappresenta San Giorgio che sconfigge il drago.
Tante volte non riusciamo a sconfiggere il male. Per la famiglia Kaladze e per tutti coloro che hanno sperato con loro, è stato così.
Levan era il fratello di Kakha: rapito pochi mesi dopo il suo arrivo a Milano. Aveva solo venti anni. Il suo corpo è stato ritrovato cinque anni dopo.
Dato che ho citato San Giorgio, anche se il 23 di aprile è lontano, coglierei l’usanza spagnola di regalare rose e ne dedicherei una alla memoria di Levan e di tutte le altre vittime di rapimento.
Burj Al Babas … c’era una volta un castello … no, di più!
Burj Al Babas è il nome di una città fantasma che si trova in Turchia.
Già così, non so tu, ma io trovo l’idea affascinante.
E se ti dico che questa città è composta da circa settecento castelli ispirati precisamente a quelli delle fiabe?
Il mio primo pensiero è stato un mix tra Topolino Apprendista Stregone che si è fatto di nuovo sfuggire il controllo come con le scope
e i cloni di Star Wars
Non che sia una novità che “sulla carta” come si suol dire, le prospettive siano un tantino diverse … però esiste anche un sito ufficiale dove si possono ammirare contesti faraonici.
Con tutta la eventuale comprensione per lo sfarzo del caso, l’idea di un agglomerato di settecento castelli in serie mi fa comunque pensare a un incubo, o quantomeno a una sorta di Suburbicon in versione sceicco.
Ma te li immagini come potrebbero essere i vincoli? A me viene qualcosa del tipo “i draghi potranno essere custoditi solo nella torre più alta…”
Scherzi a parte, Suburbicon è finzione cinematografica, ma si ispira alla realtà: Levittown
così come i settecento castelli sono assolutamente reali. Incompiuti ma reali.
La versione che circola rimbalzando da un sito all’altro è che il progetto si è arenato a causa della crisi del petrolio e che i pagamenti degli oltre trecento castelli già venduti ad acquirenti arabi sono stati bloccati.
Io però sinceramente non ce li vedo questi straricchi mentre si trasferiscono nel loro mini castello numero 511 adiacente castello, con vista castelli …
Sono troppo polemica?
Non lo so, non riesco proprio a trovarci un senso, o forse non riesco a credere in un progetto immobiliare del genere, ma tu naturalmente correggimi se sbaglio!
Ovviamente mi sono chiesta in che senso, e perché secondo tale concetto la Repubblica di Weimar sia conosciuta in maniera meno puntuale con riferimento all’economia, che in genere invece è il focus, come ad esempio in questo video di Rai scuola.
Di quel periodo avevo già ricordato la Baronessa ma il Dadaismo rimane forse più separato dal contesto socio-politico, per cui il fulcro del movimento creativo si manifesta con l’ascesa del Bauhaus.
Dunque ho ricercato una prima risposta al Moma: Bauhaus: la scuola di arte e design fondata in Germania da Walter Gropius nel 1919 e chiusa dai nazisti nel 1933. La facoltà ha riunito artisti, architetti e designer e ha sviluppato una pedagogia sperimentale incentrata su materiali e funzioni piuttosto che sulle tradizionali metodologie scolastiche. Nelle sue successive incarnazioni a Weimar, Dessau e Berlino, è diventato il luogo di conversazioni influenti sul ruolo dell’arte moderna e del design nella società.
I nomi che risuonano sono Paul Klee o Vasily Kandinsky, però ovviamente io non posso non citare piuttosto Marianne Brandt ed il suo coffe set in metallo!
Rimane la questione della vera essenza della Repubblica di Weimar: davvero tutto ciò prevale sulla disastrosa iperinflazione?
Tu magari sei uno dei succitati appassionati di storia dell’arte e di design e mi sai spiegare.
Passato e presente ci descrive la Repubblica di Weimar come una parabola, suddivisa in tre fasi: ed è proprio la fase intermedia che vede la fioritura artistica.
Weimar è un laboratorio politico, istituzionale, sociale ed artistico, attraversato dalle tensioni della modernità.
Immaginiamo di osservare tutto ciò mentre siamo seduti al Romanische Café dove si incontravano gli artisti e di poter analizzare la Neue Sachlichkeit: cioè la Nuova oggettività ma anche l’espressionismo del cinema e l’approccio al realismo attraverso i loro occhi.
Attraversata dalle tensioni della modernità.
Durante un convegno a Firenze in occasione del centenario, pubblicato dal Ministero dell’Interno la Costituzione di Weimar viene definita come la prima Carta che prova a dare risposta a forti tensioni sociali, e come documento di straordinaria modernità perché ripropone il tema del rapporto tra legittimazione democratica e legalità dei limiti alle libertà.
Quindi, ipotizzo: soltanto gli artisti hanno avuto modo di esprimere e vivere appieno la libertà?
Eppure la Costituzione di Weimar prevedeva ad esempio: il suffragio universale, salari aumentati in termini reali, regimi pensionistici e di indennità di malattia, assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, sussidi governativi per la costruzione di parchi, scuole e impianti sportivi, e un massiccio programma di costruzione di case popolari.
Ma da “valigie piene di sogni” si è passati letteralmente a valigie piene di banconote per poter comprare beni di prima necessità e metaforicamente parlando nemmeno AVUS: Automobil-Verkehrs- und Übungsstrecke cioè la prima autostrada in Europa ha saputo far “correre” la libertà di una repubblica rinominata “di vetro” per la propria fragilità.
Vetro però è anche trasparenza. Come la verità?
Cito Wislawa Szymborska: Si fece un violino di vetro perché voleva vedere la musica.
Tu cosa vorresti vedere?
Mi farebbe piacere leggere le tue riflessioni se vorrai condividerle, intanto ti dedico You’re the cream in my coffeedi Marlene Dietrich.
OPINIONI