Questo articolo è disponibile anche in: English
Massimo mi ha spiegato la repubblica di Weimar e girovagando per il web in cerca di dettagli in proposito, mi sono imbattuta in questa frase:
nessuno conosce davvero la storia della Repubblica di Weimar, se non gli appassionati di storia dell’arte e del design.
Ovviamente mi sono chiesta in che senso, e perché secondo tale concetto la Repubblica di Weimar sia conosciuta in maniera meno puntuale con riferimento all’economia, che in genere invece è il focus, come ad esempio in questo video di Rai scuola.
Di quel periodo avevo già ricordato la Baronessa ma il Dadaismo rimane forse più separato dal contesto socio-politico, per cui il fulcro del movimento creativo si manifesta con l’ascesa del Bauhaus.
Dunque ho ricercato una prima risposta al Moma:
Bauhaus: la scuola di arte e design fondata in Germania da Walter Gropius nel 1919 e chiusa dai nazisti nel 1933. La facoltà ha riunito artisti, architetti e designer e ha sviluppato una pedagogia sperimentale incentrata su materiali e funzioni piuttosto che sulle tradizionali metodologie scolastiche. Nelle sue successive incarnazioni a Weimar, Dessau e Berlino, è diventato il luogo di conversazioni influenti sul ruolo dell’arte moderna e del design nella società.
I nomi che risuonano sono Paul Klee o Vasily Kandinsky, però ovviamente io non posso non citare piuttosto Marianne Brandt ed il suo coffe set in metallo!
Rimane la questione della vera essenza della Repubblica di Weimar: davvero tutto ciò prevale sulla disastrosa iperinflazione?
Tu magari sei uno dei succitati appassionati di storia dell’arte e di design e mi sai spiegare.
Passato e presente ci descrive la Repubblica di Weimar come una parabola, suddivisa in tre fasi: ed è proprio la fase intermedia che vede la fioritura artistica.
Weimar è un laboratorio politico, istituzionale, sociale ed artistico, attraversato dalle tensioni della modernità.
Immaginiamo di osservare tutto ciò mentre siamo seduti al Romanische Café dove si incontravano gli artisti e di poter analizzare la Neue Sachlichkeit: cioè la Nuova oggettività ma anche l’espressionismo del cinema e l’approccio al realismo attraverso i loro occhi.
Attraversata dalle tensioni della modernità.
Durante un convegno a Firenze in occasione del centenario, pubblicato dal Ministero dell’Interno la Costituzione di Weimar viene definita come la prima Carta che prova a dare risposta a forti tensioni sociali, e come documento di straordinaria modernità perché ripropone il tema del rapporto tra legittimazione democratica e legalità dei limiti alle libertà.
Quindi, ipotizzo: soltanto gli artisti hanno avuto modo di esprimere e vivere appieno la libertà?
Eppure la Costituzione di Weimar prevedeva ad esempio: il suffragio universale, salari aumentati in termini reali, regimi pensionistici e di indennità di malattia, assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, sussidi governativi per la costruzione di parchi, scuole e impianti sportivi, e un massiccio programma di costruzione di case popolari.
Ma da “valigie piene di sogni” si è passati letteralmente a valigie piene di banconote per poter comprare beni di prima necessità e metaforicamente parlando nemmeno AVUS: Automobil-Verkehrs- und Übungsstrecke cioè la prima autostrada in Europa ha saputo far “correre” la libertà di una repubblica rinominata “di vetro” per la propria fragilità.
Vetro però è anche trasparenza.
Come la verità?
Cito Wislawa Szymborska:
Si fece un violino di vetro perché voleva vedere la musica.
Tu cosa vorresti vedere?
Mi farebbe piacere leggere le tue riflessioni se vorrai condividerle, intanto ti dedico You’re the cream in my coffeedi Marlene Dietrich.
La mia riflessione (basata su testi storici letti in varie fasi delle vita, ma soprattutto dopo l’università) è che Weimar non poteva andare avanti perché quel tempo (1918-1933) è stato “disgraziato” in tutta Europa…
L’esistenza dell’URSS, la guerra civile russa, le repubblichette socialiste effimere fondate qua e là (e Karl Liebknecht e Rosa Luxenburg ne proclamarono una proprio a Berlino, nel 1918), i vari scioperi (il biennio rosso in Italia ecc.), la reazione del capitalismo che appoggiò partiti nazionalisti e/o apertamente fascisti (Franco, Horthy, Mussolini, per certi versi Kemal: gente che ancora non si sapeva cosa fosse ma era certamente anti-comunista e anti-sovietica), e poi anche la crisi del capitalismo del 1929: uff… ce n’era di roba da affrontare all’indomani di una Grande Guerra e di una Febbre Spagnola che avevano sconvolto tutti quanti proprio nell’encefalo, con il morire di fame che era una realtà endemica, con la *morte* che faceva parte dell’esperienza quotidiana, e che diventava “normale” perfino in politica: uccidere l’avversario politico, cancellarlo, e teorizzare (riprendendo idiozie dell’Ottocento) che fosse biologicamente e “razzisticamente” inferiore (una violenza parossistica figlia della Guerra, i cui eroi e reduci erano effettivamente la maggioranza della popolazione attiva) divenne una cosa comune: tra 1918 e 1933 ci fu davvero una guerra civile europea tra i grandi schieramenti politici, una guerra civile atroce (non solo fascisti vs comunisti, ma tutto ciò che quelle etichette comportano anche a livello di pura astrazione: ricchi vs poveri, reduci vs renitenti, militari vs pacifisti, proprietari vs servi ecc. ecc., fino alla distinzione più atroce: puri vs sporchi, superiori vs inferiori, “noi” vs “loro”, patrioti vs stranieri): ed è difficile governare durante una Guerra Civile così colossale…
La gente di quel periodo, in tutta Europa, era “sciroccatissima”: la razionalità va a farsi benedire quando muori di fame e quando la febbre Spagnola per anni ti ammazza in modo casuale: le aberrazioni “santorali”, i pensieri rivolti a “soluzioni superiori” (a messia religiosi o politici), lo sconforto tragico che ti fa salutare ogni cosa (anche la violenza civile) come il “male minore” era tutta roba che serpeggiava in tutta Europa…
In questo ambiente straziante, Weimar se la cavò meglio di altri in certi ambiti (l’Italia liberale non riuscì a fermare le marce fasciste e tanto meno la marcia su Roma del 1922, Weimar invece mise in galera Hitler dopo il putsch di Monaco del ’23), ma collassò come molte altre realtà del tempo al nazionalismo e alla violenza razzista inondante tutto il mondo di allora: e Weimar finì quasi nel modo peggiore, cioè “democraticamente”, ossia con la gente tutta che giudicò il razzismo (=nazismo) violento addirittura una soluzione al morire di fame (almeno Francisco Franco dovette prendere il potere con la forza nella Spagna repubblicana dei socialisti, mi spiego: almeno in certi posti la barbarie si è dovuta imporre, a Weimar la gente *ha votato* la barbarie tutta bella contenta, anche se non con la maggioranza assoluta, per fortuna – nella sua Baviera, Hitler ottenne solo il 30% dei voti, per esempio – ma certamente con la maggioranza relativa)…
Il ruolo della liberissima Arte di Weimar è stato giudicato fin troppo col senno di poi…
Kracauer è convintissimo che all’elezione di Hitler abbiano contribuito anche le espressioni artistiche comuniste (di Brecht e Weill) con la loro fascinazione per l’eslege, per lo psicopatico e per i bassifondi; ed è convinto soprattutto che abbia contribuito il cinema allucinato frutto delle carestie post-1918, cioè che i Dracula di Murnau, i Caligari di Wiene e i vari Golem, con tutto il loro campionario di orrori, abbiano finito per far abituare la gente ai mostri anche morali, cosa che, alla fine, ha aiutato Hitler…
Boh…
È anche vero che tutta l’Arte di Weimar, anche quella comunista, era tutta afflitta da retaggi nazionalisti guglielmini: i miti della patria, della santa Germania, di Wagner, della purezza contro la corruzione, oppure il solipsismo psichico che confondeva la lotta interiore di Es contro Io e Super-Io (Freud li aveva appena teorizzati) con la lotta effettiva contro fascisti e razzisti da una parte e con comunisti ed ebrei dall’altra (antisemitismo presentissimo in età guglielmina) ebbero tutti una parte in causa nel disastro…
Nell’Arte agivano anche persone effettivamente razziste o di destra, a chiacchiere convintissime che un messia politico dittatoriale avrebbe risolto le cose (gente che poi per lo più si è pentita col Reich, ma mica sono pentiti tutti); anche i comunisti erano convintissimi che la democrazia faceva schifo, e che ci voleva la dittatura del proletariato: i meccanismi lenti della repubblica mandavano in bestia un sacco di gente che si diceva socialista (lo stesso Brecht)… l’argomento che il parlamentarismo era una secca di immobilismo e di trasformismo, a cui contrapporre l’ampio potere decisionale di qualcuno, era all’ordine del giorno, anche nell’arte… Loos, Gropius, Lloyd Wright, o anche Le Corbusier, oppure Hindemith, Schoenberg, Berg, Weill, Brecht, Schreker, Krenek non erano gente “democratica”, era artisti convinti che solo la loro Arte fosse “giusta”, ottemperando allo stesso superomismo nicciano-wagneriano ottocentesco da cui attingeva anche Hitler!
Hindemith, Schoenberg, Berg, Weill, Brecht, Schreker, Krenek: tutti quanti parlano di quasi eroi che agiscono con violenza per aggiustare le storture del mondo: e quando arrivò Hitler ad agire effettivamente con la violenza ad “aggiustare la Germania” alcuni ebbero la sindrome dell’Apprendista Stregone, ma altri no… Anche in Italia il “bisogno” di gente forzuta che prende in mano le redini di uno stato che affonda nella palude del parlamentarismo trasformista è ben simboleggiato nei tanti Maciste dannunziani che si inventarono… come se alla violenza “cattiva” del morire di fame e del delinquente pidocchioso si dovesse contrapporre una violenza “buona” della legge e dello stato, due violenze che si distinguevano solo da un fragilissimo “segno”, che nell’immaginario popolare era un segno “morale” (buoni contro cattivi: un segno, notare, “infantilista”, “fiabesco”, ancora gigantizzante gli psichici Io e Super-Io di Freud! un segno, quindi, ben poco “razionale”) ma che nessuno riusciva a distinguere, nello sciroccamento generale, dal segno politico… una confusione che l’Arte, c’è da dirlo, non aiutò affatto a chiarire…
Hitler poi deluse moltissimi perché liberò tutti tranne che l’Arte (Anton Webern, Paul Hindemith e Carl Orff, hitleriani della prima ora, convintissimi che lo sperimentalismo artistico sarebbe stato patrocinato da Goebbels per andare al di là del conformismo artistico, inteso come “ebraico”, ci rimasero malissimo quando Hitler proibiva le loro musiche o metteva bocca nei loro soggetti), ma questo successe con la Repubblica di Weimar che era già caduta…
La Repubblica di Weimar, in me post-sovietico, si risolve a essere il sogno di ciò che “sarebbe potuto essere” e che i fasci bastardi hanno insozzato (esattamente un “simbolo” come la Comune di Parigi del 1871)… ma questo è un pensiero parziale idiota …perché, forse più propriamente, la Repubblica di Weimar, come l’URSS e la DDR, è la prova atroce che l’uomo (inteso come “umanità”) NON È buono, giusto e morale (categorie che egli stesso architetta solo per il piacere di infrangerle), e quindi non può vivere con “ognuno che dà a seconda delle proprie possibilità e con ognuno che riceve a seconda dei propri bisogni”, poiché quando la convivenza volge al brutto (e il brutto può essere determinato da qualsiasi cosa), l’uomo decide di ammazzare i suoi simili…
Pertanto, forse, la Repubblica di Weimar, che, poverina, non sarebbe potuta finire diversamente in quell’Europa e in quel tempo sciroccato, rimane lì come monito gigantesco al “come è stato” e al “come è bene che non sia mai più”: studiarla è come vederci allo specchio, oggi che la democrazia è tanto in pericolo proprio per nuove carestie e nuovi razzismi determinanti nuove sciroccaggini varie in cui gli artisti non sanno leggere proprio un cacchio!
La Repubblica di Weimar è lì come monumento, come “avvertimento” di quanto possa “andare peggio” ogni cosa… un monumento al fatto che aspettare messia vari, “più forti di noi” che ci liberano, sia nella “contaminazione” sia nella “purezza”, non sia affatto una buona idea, perché lo stato non è “morale”, lo stato siamo tutti ed è convivenza e non “imposizione”, anzi lo “stato” è una controparte controbilanciante quella innata voglia dell’umanità di autodistruggersi…
un monumento che deve tenuto presente ogni giorno!
Io non posso che ringraziare infinitamente per questa analisi, dettagliata, approfondita e soprattutto sentita.
Non avrei saputo descrivere meglio l’immagine di queste due violenze che si contrappongono, distinte solo da un flebile e indistinguibile segno morale perso nel delirio dell’ego, dell’uomo e della sua natura fine a sé stessa.
Un primo piccolo passo potrebbe consistere nella consapevolezza di non essere mai i “buoni,” o forse basterebbe non aspettare sempre altro, molto spesso come dovuto.
Uso le tue parole “studiare la Repubblica dei Weimar è come vedersi allo specchio” riflessione doverosa da tenere presente veramente ogni giorno perché il male minore è pur sempre male.
Dunque anche l’arte non è stata così libera da raggiungere il livello utopico almeno transitoriamente. Purtroppo.
Forse l’unica “utopia” in Arte è stata il Living Theatre di Julian Beck: almeno non diceva mai alla gente come comportarsi…
E magari ha insegnato che l’utopia è un “tendere”, uno “Streben”, un comportarsi quotidiano, un “ispirarsi”, che esiste, sussiste e nutre proprio perché non si realizza mai: come l’infinito, che si realizza solo quando si toccano i rami dell’iperbole equilatera, cioè mai, oppure, secondo i punti di vista, quei rami si «toccano all’infinito!» come a dire che si toccano sempre!
Il sogno dell’utopia va inteso come sempre là (Outside over there), come guida e non come limitazione di ciò che c’è…
Nella Repubblica di Weimar non ho visto granché cose simili, ma anche nelle sue creazioni, col senno di poi, si trova qualcosa: un sacco di allestimenti moderni delle opere di Hindemith o Krenek adesso sottolineano gli aspetti “libertari”: è una sorta di “vendetta dell’Arte” che, anche quando non lo è, diventa in qualche modo sempre rivoluzionaria!
Perfino Wagner oggi è allestito come inno di liberazione psichica: una bella rivincita!
Ecco: grazie per aver posto anche l’accento su qualcosa che io non ho sottolineato bene: la gente.
“Il Living Theatre di Julian Beck non diceva mai alla gente come comportarsi” … gente che si è ritrovata alla fame, che ha dovuto cercare di comprare il pane a prezzi esorbitanti e inimmaginabili, gente che ha visto l’utopia sfumare e che si è ritrovata a toccare il fondo anziché l’iperbole che dici.
La guida Outside over there dovremmo seguirla tutti perché la storia dovrebbe insegnare, anche se in effetti non diamo molta prova di aver imparato, anzi! E l’inno di liberazione psichica di Wagner andrebbe guadagnato!
Ho trovato questo articolo molto chiaro, e interessante, e te ne sono grata
GRAZIE Luisa!
Anche io ti leggo sempre con piacere e con interesse: da te imparo qualcosa ogni singolo giorno, per cui grazie a te!
Avevo promesso dei link!
Ecco «Jonny spielt auf» di Krenek, l’opera più rappresentata durante la Repubblica di Weimar, e «Cardillac» di Hindemith, per alcuni allegoria del potere hitleriano [allestimento top di Jean-Pierre Ponnelle con conduzione di Sawallisch: tragicissimo]!
Scritta prima di Weimar, ma fece parecchia scuola, anche «Die Gezeichneten» di Schreker: assolutamente folle!
Intanto ripeto dieci cento mille volte grazie e mi riservo di ascoltare e approfondire con calma domani mattina perché voglio dedicare l’ascolto che meritano!
post di altissima levatura storico-artistica,.. complimenti Claudia, c’è sempre da imparare qui da te e dai tuoi preparatissimi commentatori. Io al più posso darti la formula analitica della parabola e magari le coordinate del suo fuoco, ma niente di più 🙂 Cosa vorrei vedere? Vorrei tornare al Moma e guardare con più attenzione le cose di cui hai parlato. Ci sono stata una volta in vita mia, anni fa e debbo dire che ero talmente in estasi che a malapena ho visto qualcosa 🙂 Buona serata a te 🙂
GRAZIE GRAZIE GRAZIE!!
Nick è preparatissimo, io nemmeno alla lontana.
E non è che la formula analitica della parabola sia qualcosa di semplice … io ho una enorme ammirazione per i matematici, per me siete delle menti superiori, per non parlare di come hai saputo conquistare la laurea tu!! EPICA proprio!
La tua estasi al Moma invece magari posso provare a “trovarla” più facilmente delle coordinate del fuoco della parabola … perché capisco bene di cosa parli.
Ti ringrazio davvero tanto e ti abbraccio fortissimo!! <3
Io non commento perché non sono all’altezza e dopo aver visto Marlene taccio ancora di più. Ma mi leggo con gusto i commenti. Come è ovvio che sia, a casa di una persona speciale ci sono ospiti speciali, complimenti.
Ospiti speciali, come anche TE.
E non dire che non sei all’altezza: non è vero!!
Un abbraccio fortissimo! <3
Intanto aggiungo anche questa osservazione da twitter