LA RILEGATRICE DI STORIE PERDUTE

LA RILEGATRICE DI STORIE PERDUTE

La rilegatrice di storia perdute è il libro che ho letto ancora una volta grazie a Monica.

A proposito di amicizia, Sas Bellas Mariposas e Mamaglia sono esperte conoscitrici dell’autrice: Cristina Caboni, chissà se magari vorranno raccontarci qualcosa.

Nel frattempo io vorrei chiacchierare più di come mi sono piaciute in particolare le parti che descrivono il procedimento di rilegatura nel primo Ottocento.

Oggi quanto tempo occorre per creare un libro?
Sul web si trovano varie opzioni di consegna in 24 ore.

E ogni volta ci ritroviamo con la solita domanda: abbiamo guadagnato o abbiamo perso?

Recentemente con mio marito ci siamo ritrovati alla ricerca di una figura che svolgesse ancora una professione legata alle tradizioni del passato, ma qui in zona purtroppo abbiamo dovuto constatare l’estinzione di determinati tipi di lavoro.

Trovo molto triste che si sia interrotta quella preziosa catena del tramandare il sapere e dell’insegnare la pazienza e il tempo che occorrono per acquisire abilità.

È quasi come se, interrompendo la tradizione orale, ci priveremo del privilegio di poter conoscere storie perché non ci sarà più nessuno a raccontarle.

Mi piacerebbe quindi moltissimo riprendere il concetto di “rilegatura” di storie perdute per unirle e per continuare a fare in modo che vivano con noi.

Ho trascorso molto tempo ad ascoltare una delle mie nonne che raccontava della sua infanzia in una famiglia contadina, parlarmi di un’epoca apparentemente lontanissima, di uno stile di vita essenziale, di oggetti che noi non useremo mai.

L’altra mia nonna invece ha avuto meno vita a disposizione ma ugualmente i suoi racconti rimangono indelebili, così come le sue ginocchia da mondina

Il mio bisnonno invece faceva il carité, il carrettiere ed è il suo viaggiare per lavoro che ha fatto sì che sposasse la mia bisnonna: tedesca, a dispetto del detto “moglie e buoi dei paesi tuoi …” scherzi a parte, il loro è stato un matrimonio piuttosto anticonformista considerati periodo storico e condizioni sociali.

Ma dimmi tu! Mi piacerebbe moltissimo “ascoltarti.”

Se hai un mestiere da raccontare, se vuoi che una storia non vada persa, se desideri tramandare un racconto, un pensiero, un concetto, un proverbio, una esperienza o anche semplicemente un commento, io te ne sarò grata e lo aggiungerò alle storie perdute da rilegare.

 

C’ERO ANCH’IO SU QUEL TRENO

C’ERO ANCH’IO SU QUEL TRENO

Nel ringraziare ancora una volta Giovanni Rinaldi, sono felice di parlarti del suo nuovo libro C’ero anch’io su quel treno La vera storia dei bambini che unirono l’Italia edito da Solferino.

C’ero anch’io su quel treno viene pubblicato a dodici anni esatti da I treni della felicità, anni durante i quali Giovanni Rinaldi non ha mai interrotto la sua ricerca storica, anzi, con il suo instancabile impegno umano, la ha trasformata in una vera e propria missione per riunire i protagonisti di una catena di meravigliosa solidarietà.

Negli anni del dopoguerra, migliaia di bambini sono stati ospitati da generose famiglie che si sono impegnate a offrire loro ciò del quale per vari motivi erano stati privati, accogliendoli e trattandoli come figli.

Il saggio di Giovanni Rinaldi parte dalle tragiche conseguenze di uno sciopero a San Severo nel 1950 in seguito al quale più di un centinaio di persone furono arrestate in massa: madri, padri, lasciando molti bambini in mezzo a una strada.

Un canto registrato da Giovanni cominicia così

Il venditré di marzo

Succèsse ‘na rruìna

Lo so, lo ho già scritto, ma per me il dialetto, così come la tradizione orale, sono un patrimonio assoluto che, se non fosse per persone come Giovanni, lasceremmo scivolare via.

E invece con il suo perseverante prodigarsi, Giovanni prosegue nella raccolta di testimonianze che si estende a bambini di Napoli costretti a lavorare, a bambini sopravvissuti al bombardamento di Cassino, e a tanti altri casi in cui condizioni di estrema difficoltà hanno reso provvidenziale l’aiuto a genitori impossibilitati al sostentamento dei propri figli.

L’organizzazione, i trasferimenti, le comunicazioni tra famiglie di origine e famiglie ospitanti si sono svolte dietro iniziativa del partito comunista ma in particolare a cura dell’UDI: Unione Donne Italiane.

A questo proposito, io con il mio debole per il Natale, ho letto con particolare emozione la parte in cui Ida racconta del suo impegno per raccogliere presso vari negozianti, il necessario per fare un Albero allestito con caramelle biscotti e doni.

La magia però si spezza al punto in cui Ida ricorda come il segretario, indispettito per questa sua iniziativa, la rimproverò addirittura con uno schiaffo …

Donne.

Donne e Mamme che intrecciano le loro vite in funzione del bene per i bambini, riuscendo a mettersi l’una nei panni dell’altra, comprendendo, adoperandosi, sacrificandosi.

Tengo particolarmente a ricordare con affetto Americo al quale sono grata per il grande insegnamento sull’amore materno che mi ha donato.

Incantevole anche la lettera della mamma di Umberto:

I cuori di noi madri della martoriata Frosinone salutiamo in voi tutte che ci venite incontro, e salutiamo questa bell’opera organizzata dal nostro Partito comunista.

Spero ricevere ancora notizie, e se il Signore mi provvederà prima che Umberto torni verrò a trovarla.

Non ciò parole per ringraziarla per quanto state facendo per mio figlio, ma il Signore vi restituisca tutto il bene che meritate …

Ringrazia il partito e spera nel Signore eppure io non trovo contraddizione, anzi ammiro la meravigliosa coesistenza di pensieri che hanno come denominatore comune il cuore.

Cuore che ho trovato in ogni pagina.

Tra i capitoli di C’ero anch’io su quel treno, dedicati a ciascuno dei bambini che è riuscito a rintracciare, Giovanni Rinaldi ci racconta come sia riuscito a risalire alle famiglie che offrirono generosa ospitalità, partendo da frammenti di ricordi, nomi spesso sprovvisti di riferimenti, fotografie di un tempo lontanissimo.

Un lavoro minuzioso ma soprattutto una forte sensibilità unita al nobile intento di realizzare il desiderio di ricongiungimento di queste persone che la vita ha inevitabilmente portato ad allontanarsi.

Non so se hai potuto seguire l’intervista su Rai Uno, diversamente puoi recuperarla qui a 1 h e 1 minuto circa.

Ti consiglio di vederla per renderti conto di come sia l’atteggiamento di Giovanni nei confronti delle persone che ha incontrato: mentre Severino e Diego raccontano la loro esperienza, li osserva con un sorriso che dice più di qualsiasi parola.

E questo è il sentimento di estremo rispetto che attraversa tutto il libro. Giovanni stesso ci dice che “questi signori anziani, nel momento in cui parlano, sono i bambini di allora che raccontano … ed è anche una terapia: tornare a quei momenti significa far venire fuori sia i traumi sia le gioie.”

In punta di piedi l’ascolto come prima cosa.

E tanto quanto Giovanni si pone come un tramite che concede di far fluire ricordi e racconti che vengono riportati fedelmente, altrettanto poi ci restituisce descrizioni del contesto talmente puntuali da farci sentire trasportati nello stesso luogo, avvolti dalla suggestione che la portata di enormi carichi di emozioni racchiude.

Concludo lasciandoti questa bellissima metafora a proposito di Benedetto:

apre il portone: un fascio di luce rischiara il buio. Fuori e dentro, come su un confine, rimangono tutti fermi, sospesi

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