Si trovano numerose ricette e svariati consigli su come preparare la crema di caffè, io ho deciso di seguire le istruzioni di Nonna Angelina che Monica mi ha inviato.
Però come sai ho la fissazione di evitare lo zucchero, e quindi personalmente ho deciso di non metterlo.
Nonna Angelina dice di usare lo zucchero a velo e di inserirlo per primo nella bottiglia.
Sì: la crema di caffè di Nonna Angelina si prepara in bottiglia e l’unica energia che occorre è quella delle braccia, dunque alla fine la si mangia con meritata soddisfazione.
Ecco cosa ho usato:
panna
caffè freddo
cacao in polvere
Ho inserito in una bottiglia di plastica prima la panna e poi il caffè.
Dopo aver richiuso il tappo non ho fatto altro che agitare la bottiglia per alcuni minuti di seguito, fino al raggiungimento della consistenza desiderata.
Ho versato la crema nelle coppette e ho aggiunto una spolverata di cacao.
Che ne pensi?
Tu hai mai preparato la crema di caffè?
La bottiglia di plastica, in questo caso, tappo compreso, risulta pratica.
Come ti sei trovata/o dopo che a luglio il cosiddetto “tappo solidale” riconducibile alla normativa europea SUP ovvero Single-Use Plastics directive del 2019 è diventato obbligatorio?
Quando i tappi non rimanevano attaccati alle bottiglie ti comportavi diversamente?
Partendo dall’esempio della bottiglia magari conosci altri sistemi alternativi rispetto ai classici strumenti usati in cucina, ti va di raccontarli?
Sono giorni di pensieri pesanti e forse per questo ancor di più avverto un istintivo richiamo verso le tradizioni, come se potessi trovare una specie di rifugio.
Quindi rilancio l’invito a condividere idee o ricette che facciano riferimento ad Halloween piuttosto che ad Ognissanti.
Dopo aver decisamente apprezzato la pumpkin pie, volevo provare a recuperare le ricette della Lomellina.
Ma a quanto pare siamo più predisposti per la tradizione orale senza poi darci la pena di trasferire per iscritto …
Risulta infatti una impresa rintracciare fonti che non siano la stessa frase rimbalzata più o meno a casaccio senza riscontro.
Di questo ha scritto molto bene Annalisa Alberici nel libro Cucina del Pavese della Lomellina e dell’Oltrepo
a pagina 13 c’è una importante domanda: La cucina pavese esiste?
La risposta è lunga ed articolata, ma in breve:
Devo ammetterlo: nei secoli la cucina pavese non fu mai scritta. O lo fu per caso.
A quanto pare la cucina pavese è proprio come il bel tacer … e appena ho letto questa frase non ho potuto far altro che sorridere ripensando al ricordo della frase che mi ripeteva mia nonna.
In realtà però ho trovato anche un altro libro che parla di Milano con riferimento al periodo dei Visconti, che quindi si può considerare esteso a Vigevano
A tavola la mestizia del giorno dei morti, con le sue tradizionali visite al camposanto, cede di fronte ai piatti della tradizione che impone la biella (marmitta) con la supa coi sisar (zuppa di ceci) arricchita dalle cotiche, e il pangiald o pane dei morti. Ora il pangiald si può comprare nelle panetterie o nelle pasticcerie, ma un tempo veniva cotto nel forno di casa.
È vero che la mia famiglia è contaminata, ma noi non abbiamo mai mangiato ceci … dunque rimane giusto il pangiald.
Ognissanti, pane … mi viene in mente questa frase:
I due odori più buoni e più santi son quelli del pane caldo e della terra bagnata dalla pioggia. Ardengo Soffici
Qui piove sempre meno, la terra però è bagnata ugualmente: dalla nebbia.
Ecco, piuttosto che per la cucina, è sul lato scary che la Lomellina non ha nulla da invidiare, le nostre atmosfere si prestano tantissimo!
Infatti, al contrario delle ricette, le leggende non mancano.
Al diaval: il diavolo, per esempio, avrebbe scatenato tutta la sua furia sulla chiesa di Santa Maria a Lomello per impedire le seconde nozze tra la regina Teodolinda, cattolica, e Agilulfo invece ariano.
Sulla stria: strega, come potrai immaginare, esistono molte storie e pare ci siano anche testimonianze dirette … ma si sa, questa parte è “l’anima” di questi racconti … perdona il gioco di parole.
Tra tutte io opterei per quella che ha dato il nome a il ramo delle streghe che in realtà è una meravigliosa diramazione del fiume Ticino
Si narra che il ramo delle streghe sia stato chiamato così per la sventura di una donna affetta da strani sintomi che in una notte di luna piena, nell’intento di purificarsi tra le acque con l’aiuto delle amiche, si ritrova a dover fronteggiare il diavolo e finisce trasformata in un alga gigante che trascina a fondo anche tutte le altre donne.
E delle alghe, che sono la caratteristica di quel tratto di fiume, si dice che ricordino i capelli delle streghe.
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