GENOVA JEANS

GENOVA JEANS

 

Ti segnalo la manifestazione che si terrà da oggi fino al sei settembre: Genova Jeans un progetto multiforme e ambizioso che inaugura la via del jeans.

Una iniziativa del genere non poteva che svolgersi a Genova, città che ha dato il nome e l’origine al capo di abbigliamento più diffuso e universale in assoluto.

Blu di Genova.

Perché noi al De Nimes non prestiamo attenzione giusto? E non per tirare fuori la solita rivalità con i cugini d’oltralpe … 

Curiosa di sapere in cosa consiste questa “via del jeans” che viene definita futura Carnaby Street genovese, mi sono ritrovata a pensare a come i jeans sono cambiati dal primo paio indossato da bambina a oggi.

Così ho provato a ripercorrere la trasformazione dei modelli:
anni 50, Marylin, un mito

anni 60: B. B. incarna la libertà

l’immagine simbolo degli anni 70 è indiscutibilmente rappresentata dai jeans a zampa di elefante

che negli anni 80 si stringono in fondo e qui non c’è il minimo dubbio: i jeans a vita alta di Re Giorgio.
Ma io che non me li potevo permettere amavo la versione balloon arricciata o in alternativa con la baschina.

alti e poi bassi? Mah! Negli anni 90 il must era larghi e lunghi fino a calpestarli …

anni 2000 ad abbassarsi è stata la vita … fin quasi a scomparire

anni 2010 risaliamo ma i centimetri recuperati spariscono in larghezza: versione skinny

E ora? Prosegui tu?
Quante paia ne possiedi? Quanto spesso indossi i jeans? Trovi che possano essere adatti a tutte le occasioni?

Il tuo lavoro prevede la possibilità di vestire anche un paio di jeans oppure hai un dress code? Penso ad esempio a quando sono stati banditi da Bush per i collaboratori della Casa Bianca.

Riesci a trovarli del tutto personali? Chiedo questo perché trovo singolare anche solo il fatto che esista un dibattito, riportato sul New York Times  secondo il quale basare indagini FBI sull’unicità del tessuto di jeans indossati da sospetti criminali, dal momento che ogni paio ha un modello di usura unico impossibile da replicare in maniera del tutto identica.

A proposito, è da qui che i 501 ci sono stati presentati in versione stone washed.

Ma troppa acqua è passata sotto i ponti per cui oggi la tendenza si dirige verso chi invece promuove comportamenti eco-sostenibili come ad esempio Howies, Monkee Genes, o addirittura Mud Jeans che li affitta dietro pagamento di una tariffa di noleggio mensile che può durare 12 mesi dopodiché i jeans sono tuoi.

Cosa ne pensi?

CRUELLA: TÈ A REGENT’S PARK

CRUELLA: TÈ A REGENT’S PARK

La recensione professionale la trovi qui sul blog Matavitatau, io vorrei fare due chiacchiere, stavolta va bene con il tè, anzi tea at Regent’s Park.

E in particolare vorrei parlare della colonna sonora che ho trovato calzante e che per quanto mi riguarda ha assolutamente sottolineato tutta la visione donando un indiscutibile valore aggiunto.

La parte originale è stata curata da Nicholas Britell. Jamie Fisher sul New York Times  riporta un’intervista a Barry Jenkins che lo descrive minuziosamente. La frase che mi ha colpita è “… c’è una leggera atmosfera di Willy Wonka nel suo studio” e direi che ciò è cosa buona.

Poi però c’è tutto un lungo “repertorio” di citazioni che definire “degne di nota” è assolutamente riduttivo.

Time of the season: Estella arriva ai grandi magazzini Liberty, tra l’altro alcune scene sono state registrate nella location reale

 

Feeling good  di Nina Simone: Estella è felice perché alla baronessa è piaciuta la sua vetrina e vuole che lavori per lei.

La baronessa. Emma Thompson. In effetti è molto Miranda Priestly ma io ho rimpianto Charlotte di The boat that rocked alias I love radio rock.

Alla prima visione: quando Emma / Charlotte arriva sulla nave, l’effetto WOW per me è stato di gran lunga maggiore.

Tu mi dirai: e cosa c’entra? Nulla, in verità.
Ma io ci ho trovato elementi in comune tipo la musica, il periodo, la swinging London … e mi era sembrata molto più “baronessa” Charlotte, tu però correggimi sempre se sbaglio.

Anzi, mi lascio correggere direttamente da lei che ha dichiarato che questi sono alcuni dei brani più belli di tutti i tempi I arrive to the sound of The Doors … which I never arrived to any cooler soundtrack.”

Rimanendo sul tema look mi sono chiesta come sia nata la scelta di Florence + The machine dato che Florence Welch stessa ha evidenziato le sue affinità:
“Sono sempre stata interessata ai vestiti e la moda mi è sembrata uno sbocco per la creatività, vestirsi, per me, è sempre stato una sorta di autorealizzazione dello spirito interiore. Sento che è un modo per indossare l’anima di te al di fuori di te stessa”.

Florence rivela anche di usare i vestiti come una sorta di “armatura” per proteggersi mentre la sua carriera si espande. Proprio come Cruella usa la moda.

Altra grande Donna che ha fatto moda, ma che soprattutto ha fatto storia: Debbie Harry con One way or another  infatti, come ho già scritto, ribadisco che dovremmo prendere esempio.

Così come vale sempre il concetto di These boots are made for walking di Nancy Sinatra forse scontatamente necessaria, in senso positivo ovviamente.

Meno prevedibili invece sono I love Paris di Georgia Gibbs e Peraphs, peraphs, peraphs di Doris Day.

La versione di Whole lotta love di Tina Turner e Ike si adatta bene direi.
Anche se io devo riascoltare l’originale: tra l’altro recentemente è stata votata come il brano contenente il miglior riff di chitarra di sempre

E dato che siamo in argomento classifiche, ricordo la versione Maneskin di I wanna be your dog, tenendo a sottolineare come la BBC abbia pubblicato il loro “storming” nelle classifiche inglesi, che è tanta roba per come generalmente viene considerata la musica italiana.

Lo so, mi sono già dilungata parecchio e non ho nemmeno citato Stone Cold Crazy, Hush, o Sympathy for the devil. E ancora non avrei concluso, in effetti ci vorrebbero singoli post dedicati perché è più forte di me: non so essere breve laughing

È vero che si era detto che questo sarebbe stato un tè anziché il solito caffè, ma mi impongo di lasciare spazio ai tuoi commenti perché sono curiosissima di conoscere le tue preferenze, anche se Cruella direbbe: “I’m just getting started, darling …”

STAVOLTA SIAMO I PRIMI AL MONDO

STAVOLTA SIAMO I PRIMI AL MONDO

Per due volte ho sottolineato come i Francesi fossero stati più avanti nel rapportarsi con un colosso come Amazon ma stavolta decisamente arriviamo prima noi, e siccome si tratta di un tema importante come i diritti dei lavoratori, sono particolarmente contenta.

Ebbene sì: pare davvero che lo sciopero in programma per lunedì 22 marzo sia il primo in assoluto che vedrà coinvolti tutti i comparti: logistica trasporti e consegna, sia per quanto riguarda i dipendi diretti che per gli interinali.

Oltreoceano è in atto una battaglia sindacale limitatamente allo stato dell’Alabama che ha però incassato importanti endorsements: il presidente Joe Biden, diversi membri del Congresso, tra cui i senatori Bernie Sanders e Marco Rubio, altri sindacati come come la NFL Players Association, la MLB Players Association, e Black Lives Matter.

Questa è la testimonianza diretta di Jennifer Bates: impiegata presso il magazzino di Bessemer.

Tu conosci magari qualcuno che lavori presso Amazon?
Sarebbe interessante ascoltare una dichiarazione dalla viva voce di chi è coinvolto in prima persona.

Le varie sigle sindacali hanno comunicato le motivazioni dello stop:  carichi e ritmi di lavoro, contrattazione dei turni, riduzione dell’orario dei driver, stabilizzazione di tempi determinati e interinali, rispetto delle norme su salute e sicurezza.

Va da sé che siamo tutti consapevoli che dietro la nostra comodità di ricevere la merce a tempo di click ci sono persone che lo rendono possibile ad orari e in tempi non certo istituzionalmente canonici.

Come sappiamo Jeff Bezos si è dimesso a febbraio con questa lettera: parla di persone di talento, di orgoglio, di salario minimo e di sostentamento.

Indubbiamente gli va dato atto di aver costruito un impero, ecco i punti che ha fissato come principi di leadership

Darwinismo intenzionale e politiche rank and yank, due su tre o anytime feedback tool non vengono menzionate nonostante una famosissima inchiesta del New York Times abbia portato a galla vari aspetti incresciosi.

Aspettiamo dunque di sentire anche le voci italiane.

IL NEW YORK TIMES SPOSTA LA REDAZIONE DI HONG KONG

IL NEW YORK TIMES SPOSTA LA REDAZIONE DI HONG KONG

Il New York Times sposta la redazione di Hong Kong.

La notizia data sul sito ufficiale del New York Times, è stata riportata da tutta la stampa, e in particolare anche da Tom Grundy: blogger e fondatore di Hong Wrong chiuso nel 2015 per il nuovo incarico di caporedattore di HONG KONG FREE PRESS (HKFP) 

Il motivo del trasferimento di parte della redazione del NYT da Hong Kong a Seoul risiede nella nuova legge sulla sicurezza nazionale cinese ad Hong Kong varata proprio il primo luglio: ventitreesimo anniversario del cambio di bandiera ad Hong Kong.

Carrie Lam, capo esecutivo di Hong Kong ha dichiarato che la nuova legge non è doom and gloom cioè non è così nera, ma piuttosto mild, blanda, rispetto alle leggi in Cina.

Sarà, intanto questa legge si basa sul medesimo principio di vaghezza della legge cinese ed è stata annunciata come una vera e propria Spada di Damocle sulla testa di coloro che minacciano la sicurezza nazionale.

Per questo motivo, il gruppo di giovani attivisti pro democrazia originariamente parte di Scholarism nell’ambito della Rivoluzione Umbrella, confluito in Demosisto, nome scelto fondendo

la parola greca Demos = popolo

e la parola latina Sisto intesa come standing un po’ per dire coloro che resistono

ha deciso di sciogliersi “date le circostanze.”

L’annuncio è stato pubblicato con un tweet a nome dei volti più noti e rappresentativi: Joshua Wong, Nathan Law, Jeffrey Ngo e Agnes Chow.

Circa un anno fa per loro era già scattato un arresto con scare tactits: tattiche per spaventare.

Amnesty International ha definito il loro arresto un “oltraggioso assalto alla libertà di espressione”.

Ho già citato Evelyn Beatrice Hall, per contro Benjamin Franklin ci insegna che “Chiunque voglia togliere la libertà di una nazione deve iniziare a proibire la libertà di parola.”

Non sottovalutiamo MAI l’importanza della libera espressione, e non dimentichiamoci di questi ragazzi.

LA GUERRA DEI MONDI

LA GUERRA DEI MONDI

A che ora è la fine del mondo?”
No, partiamo dall’inizio: La guerra dei mondi è un romanzo scritto da H. G. Wells, tra i precursori del genere fantascientifico, originariamente pubblicato a puntate nel 1897 sul Pearson’s Magazine a Londra.
Primo aneddoto curioso: H. G. Wells prese in parte ispirazione dalle teorie di Giovanni Schiaparelli su Marte  (e se mi leggi sempre ricordiamo il nostro save the date 🙂 )
L’astronomo, nonché direttore dell’Osservatorio Astronomico di Brera a Milano, osservò alcune linee sulla superficie del pianeta rosso, e ipotizzò che potessero essere canali naturali per il trasporto di acqua poiché mutavano da una osservazione all’altra.
A questo punto ci sta un altro bel sorriso perché qual è uno dei tasti dolenti per tutti noi italiani? La conoscenza dell’inglese!
Perché dico questo? Perché i suoi canali naturali vennero tradotti con il termine sbagliato che travisò la teoria trasformandoli in canali artificiali. Da qui il presupposto che fossero stati scavati da … marziani, per l’appunto.
Questi famosi “marziani” che hanno popolato le fantasie di molti, incarnando le più svariate forme e descrizioni, prima di venire soppiantati dai più universali alieni.
Questi famosi “marziani” che hanno ispirato prima Wells e poi anche Welles, Orson Welles.
Curiosa anche questa coincidenza, li separa una e ma soprattutto una invenzione brevettata, altro dato curioso, sempre nel 1897, sempre a Londra, e sempre da un italiano: Guglielmo Marconi.
Perché passo a parlare di radio? Perché nel frattempo arriviamo nel 1938 è la radio è ancora la neonata tra i mass media e, esattamente come funziona oggi per internet, viene vista come una forma di comunicazione potenzialmente pericolosa, in quanto veicolo di mutazione sociale, per la rapidità di diffusione alla facile portata di un numero elevato di persone, e soprattutto dannosa per i colossi dell’editoria, preoccupati di perdere i loro introiti.
E ed è proprio alla CBS che Orson Welles conduce The Mercury Theatre on the Air: un programma costituito dalla narrazione dei grandi classici della letteratura, per la verità mal pagato e non molto seguito.
Ma Orson, allora attore shakesperiano, esprime il suo genio usando il programma anche per assestare un colpo al sistema, decidendo di dare il taglio di un notiziario in tempo reale, e in vista dell’imminente Halloween, struttura l’invasione marziana descritta nel libro come una radiocronaca in tempo reale.
È infatti il 30 ottobre 1938 quando va in onda la lettura dell’incipit de La Guerra dei Mondi, intervallata da trasmissioni musicali, come di consueto, finché un annuncio interrompe la musica e traspone il testo ambientandolo negli Stati Uniti. Con l’aiuto dello sceneggiatore Howard Koch, vengono inserite finte interviste ad esperti, imitazioni di comunicati delle autorità, ed effetti sonori ai quali Orson Welles presta una cura particolare.
All’inizio e nel corso della trasmissione viene chiaramente dichiarato che si tratta della trasposizione del romanzo, ma molti si sintonizzano in momenti diversi e l’effetto illusione creato ad arte riesce perfettamente.
Si narra della telefonata di un uomo al New York Times per chiedere appunto “a che ora è la fine del mondo?” alla quale fa riferimento il famosissimo brano scritto da Michael stipe dei R.E.M.
C’è un coro che sostiene la esagerazione delle stime che contano le persone corse in strada, le scene di panico, o l’isteria, e sinceramente non intendo soffermarmi sui numeri, dal momento che, specialmente in questo periodo, non se ne può più di sentire tragici conteggi.
Di fatto, a Grover’s Mills nel New Jersey, esiste una targa commemorativa con la seguente iscrizione:
La sera del 30 ottobre 1938 Orson Welles e The Mercury Theatre presentarono una drammatizzazione di H.G. Wells La guerra dei mondi adattata da Howard Koch. Questo doveva diventare un punto di riferimento nella storia delle trasmissioni, provocando continui pensieri sulla responsabilità dei media, sulla psicologia sociale e sulla difesa civile. Per un breve periodo, oltre un milione di persone in tutto il paese credevano che i marziani avessero invaso la terra, a partire da Grover’s Mill, nel New Jersey.
La cosa importante che Orson Welles più o meno volontariamente ci ha dimostrato, è che le persone sono portate a credere piuttosto incondizionatamente ciò che viene loro comunicato dai mass media mainstream.
Quante volte ci siamo sentiti dire “lo ha detto la TV?”
Quanti hanno cura di verificare le notizie?
Questa volta mi sono dilungata oltre il tempo del caffè, ma oggi forse possiamo concederci anche il cioccolato, che dici?
Però ora concludo con l’ultima strana coincidenza: ne La Guerra dei Mondi i marziani vengono sconfitti da un virus.

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