GIORNI RIBELLI

GIORNI RIBELLI

Giorni Ribelli è l’ultimo libro di Andrea Calugi che ringrazio sentitamente insieme a Manuale di Mari

Andrea Calugi è toscano e dalla sua biografia in breve mi piace citare questa frase: è ancora in cerca del suo futuro, tra un libro da leggere, una pagina da scrivere, una canzone da ascoltare e un bicchiere di buon vino da bere.

È dunque facile empatizzare, e mentre Andrea cerca il suo futuro, ci propone una visione del futuro nel suo libro.

Un futuro senza tempo, un futuro che non possiamo calcolare, un futuro lontano e allo stesso tempo vicino: per tutto il tempo ho avuto la percezione di una sorta di dualismo.

Leggevo di un futuro e pensavo a un passato chiara rappresentazione di come tutto cambia ma di come in realtà tutto rimane immutato.

I giorni scorrono e la storia si ripete.

Una storia dalla quale non impariamo, o non vogliamo imparare.

Una storia di guerre, come quella che caratterizza i Giorni Ribelli che invitano alla riflessione, che spronano alla ricerca della Libertà prima che si estingua.

Ho amato un passaggio del libro nel quale Andrea paragona la terra ad un corpo umano che sanguina per le ferite delle bombe e “librava polvere che lentamente, come lacrime, ricadeva a terra inondando tutto e tutti del proprio pianto.”

Vorrei che tutti avessero la sensibilità per vedere la terra che sanguina, per sentire il dolore della terra, che è dolore per tutti.

E mi ha colpita il pensiero di uno dei personaggi secondo il quale “la vera paura era che con sé morissero anche tutti quegli stupendi ricordi che invece sarebbe stato giusto gli sopravvivessero.”

Constantine viene considerato matto per il suo modo di pensare, qual è per te la vera paura

Ti senti ribelle?

Chi o cosa contrasterebbero i tuoi giorni ribelli?

WEST SIDE STORY

WEST SIDE STORY

 

West Side Story è storia, permettimi il gioco di parole.
Storia del cinema anche per chi non è amante dei musical.

A te piacciono i musical?
Sono forse il genere più controverso in assoluto: o lo odi, o lo ami.

Io lo amo.

Nel caso in cui tu invece nutra qualche dubbio, ti consiglio di leggere questo post sul blog Come cerchi sull’acqua

West Side Story nasce come spettacolo teatrale a Broadway e Jack Gottlieb ci racconta di come fosse stato pensato traendo ispirazione da Romeo e Giulietta di Shakespeare e di come Jerome Robbins avesse inizialmente immaginato Giulietta come una ragazza ebrea e Romeo come un cattolico italiano. L’azione, ambientata durante la stagione Pasqua / Pasqua ebraica, avrebbe dovuto svolgersi nel Lower East Side di New York City. Quindi il titolo avrebbe potuto essere EAST Side Story oppure Gangway.

Trovo assolutamente comprensibile che Steven Spielberg abbia dichiarato che è stato il film più arduo della sua carriera. 

Ho iniziato a guardarlo insieme a tutti i presupposti positivi, e con tutta la curiosità di scoprire come l’ardua sfida fosse stata risolta.

L’inizio mostra l’imminente demolizione del quartiere e, personalmente l’ho interpretata come la metafora di una wrecking ball di rottura ma non sul passato.

Il tempo è da demolire.
Perché nonostante tutti gli anni trascorsi, costellati da accadimenti drammatici, è come se la storia fosse stata scritta oggi.

E Rita Moreno diventa come un fulcro di umana sofferenza, attorno al quale si manifesta il reiterato dolore ciclicamente ricorrente nonostante il tempo trascorra.

In questo video riceve l’Oscar per l’interpretazione del personaggio di Anita nel 1962

 

Questo invece è il post con il quale si complimenta con Ariana DeBose per la recente vittoria per avere interpretato Anita, diversamente eppure con altrettanta efficacia.

Per Rita Moreno nel film di Spielberg è stato creato il ruolo di Valentina: la vedova di Doc, che aiuta e sostiene Tony dopo le sue disavventure con la giustizia, ma in varie interviste è stata definita la “mamma” di West Side Story per come ha consigliato, assistito, supervisionato instancabilmente.

E ovviamente tutto questo mi è entrato nel cuore.

Senza contare la sua battuta per me iconica: Tony le chiede di tradurre “per sempre” perché vuole dichiararsi a Maria in spagnolo e lei, spaventata da quell’idea di assoluto tragicamente irreale, risponde qualcosa come “perché non dire semplicemente vorrei prendere un caffè con te?”

Eh!

Indubbiamente è una dichiarazione comunque importante, vero!?

E mentre bevi il caffè, ti consiglio ancora una volta l’analisi dettagliata e professionale di Matavitatau

C’è un brano in particolare che preferisci dalla colonna sonora di West Side Story?

Sono tutte canzoni destinate a rimanerti nella mente una volta ascoltate, ma, tanto per citarne tre clamorosamente strafamose, sei più per Tonight, Maria, oppure America?

LETTERE AL PASSATO

LETTERE AL PASSATO

Tra una settimana sarà Natale, ma che Natale sarà?

Questo pensiero si porta dietro la nostalgia dei ricordi che scorrono come al rallentatore.

Se potessi scrivere una lettera alla me del 1979 le direi di essere strafelice perché gli anni in arrivo saranno una esplosione di vita, di colori, di suoni, di emozioni.
E le direi di imparare bene The logical song, perché un giorno purtroppo il significato apparirà in tutta la sua chiarezza.

Se potessi scrivere una lettera alla me del 1989 le direi che quello è stato il primo di trentadue anni di lavoro che mi piaceranno ma che devo dare ascolto al desiderio di studiare e pretendere di più per me stessa.
E le direi di battersi perché così come a Berlino, tutti i muri vengano abbattuti.

Se potessi scrivere una lettera alla me del 1999 le direi che tutta quell’idea del duemila è soltanto una grande bolla di sapone e che il futuro in arrivo ha indosso una maschera che nasconde il regresso.
E le direi che una cosa è conoscere il sentiero giusto, un altro è imboccarlo

Se potessi scrivere una lettera alla me del 2009 le direi di non illudermi che la crisi stia per finire e di prepararmi a vivere la recessione.
E le direi che The Resistance non è soltanto il miglior album rock.

 

Se potessi scrivere una lettera alla me del 2019 le direi di vivere ogni singolo minuto con la consapevolezza dell’enorme valore dei semplici momenti che per quanto banali, cambieranno.
E le direi che stanno per accadere cose alle quali non avrei mai mai creduto.

Ma i roghi peggiori bruciano realtà immateriali.

UN MONUMENTO DA RICORDARE

UN MONUMENTO DA RICORDARE

Un monumeto da ricordare ovvero un monumento che deve essere tenuto presente ogni giorno è la frase finale di quello che non potrei mai definire semplicemente “commento” che Nick di Matavitatau ha generosamente scritto in merito alla Repubblica di Weimar

Nel caso in cui tu non lo abbia letto, ti consiglio vivamente di non perderlo: lo trovi qui

Tra l’altro ha anche ridato fiducia a Massimo dato che io dal suo spunto avevo parecchio divagato laughing

Sono assolutamente d’accordo sul concetto di monumento come qualcosa che stia ad indicarci di non dimenticare ciò che è stato, dal momento che troppo spesso non teniamo conto dell’importanza degli insegnamenti che potremmo trarre da quanto è già accaduto.

Invece ricadiamo.

La vita, si direbbe, è fatta di recidive e anche la morte dev’essere una specie di recidiva.
Samuel Beckett

Certo che potremmo lavorare su come arrivare a questa “recidiva finale”… o no?

Eppure perseveriamo nel farci cogliere ingenuamente dalle derive che ci trascinano troppo facilmente nelle risacche dei riflussi storici, che somigliano piuttosto a reflussi, che il male rigurgita dopo essersi cibato impunemente.

Cito ancora: la Repubblica di Weimar rimane lì come monito gigantesco al “come è stato” e al “come è bene che non sia mai più:” studiarla è come vederci allo specchio, oggi che la democrazia è tanto in pericolo proprio per nuove carestie e nuovi razzismi.

Perché dunque non vogliamo guardarci allo specchio con onestà?

Se non altro almeno l’inconscio potrebbe registrare ciò che noi non vogliamo vedere, persino Profondo Rosso ce lo insegna.

 

Si può quindi dire che rifiutiamo consapevolmente di vedere oppure inconsciamente rifuggiamo l’evidenza davanti ai nostri occhi?

Ora divago di nuovo, lo so, ma rimbalzando da uno specchio all’altro mi sono imbattuta in una ricerca del professor Giovanni Battista Caputo dell’Università di Urbino, ribattezzata con il nome di Caputo effect, la conosci già?

Si basa sull’illusione visiva: il professore ha registrato le reazioni di un campione di cinquanta persone alle quali è stato richiesto di osservare la propria immagine riflessa nello specchio per dieci minuti consecutivi.

Lo specchio è stato posto all’interno di una stanza illuminata soltanto dalla luce di una lampada posizionata in modo che la sua luce rimanesse dietro al campo visivo dell’osservatore e che non potesse riflettersi.

I risultati hanno dimostrato visioni distorte e in particolare: la maggior parte ha testimoniato di aver visto distorsioni sul proprio viso.

Alcune persone hanno visto il volto di un genitore, in alcuni casi deceduto.

Altre volti sconosciuti, animali o addirittura esseri mostruosi.

Pensi che potremmo provarci anche noi?

Io più che altro ho preso in considerazione l’idea come metafora.

Secondo te che ruolo ha la lampada?

Come possiamo noi illuminarci meglio per vedere nello specchio?

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