PACHINKO

PACHINKO

Pachinko パチンコ è il nome di qualcosa che per gli occidentali risulta forse meno comprensibile, ma soltanto perché noi abbiamo altre manifestazioni di alienazione e ludopatia.

Pachinko パチンコpotrebbe essere sinonimo di beffa.

Verbal Kint ci ha insegnato che la beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stata convincere il mondo che lui non esiste e, come niente … sparisce.

Anche il gioco d’azzardo in Giappone “non esiste” perchè è vietato. E sparisce sotto il nome di “divertimento” definizione con la quale viene classificato il Pachinko.

In realtà molti di noi sono passati attraverso un Pachinko, di corsa: insieme a Bill Murray e Scarlett Johansson nel film Lost in translation

Il Pachinko è un gioco ibrido, potremmo dire che è la rappresentazione plastica della contaminazione: a metà strada tra un flipper è una slot machine.

Il trucco sono proprio le palline che da protagoniste del gioco diventano oggetto stesso della vincita ma che non possono essere cambiate in denaro.

Giocando al Pachinko si possono ottenere soltanto dei premi di varia natura: barrette di cioccolato, penne, accendini, caramelle, magliette, cosmetici, biciclette, buoni spesa, fino ai premi cosiddetti “speciali” cioè oggetti in argento o oro racchiusi in buste di plastica.

Questi premi speciali possono essere scambiati in punti esterni ma nelle vicinanze dei Pachinko Parlours: i TUC Shop = Tokyo Union Circulation

Ho trovato regolamentazioni precise per quanto riguarda l’installazione di questi fantomatici flipper verticali, ma il rischio di dipendenza?

Questi Pachinko Parlors sono luoghi in cui le persone sono sottoposte a un livello di rumore altissimo e a luci molto forti.

I giocatori appaiono seduti inermi, completamente estraneati, come senza identità nel flusso di questi movimenti meccanici e lenti che annullano il tempo.

Mi colpisce molto lo slogan di una società che gestisce i Pachinko Parlors:

Joy in life

We resolve to bring joy to the lives of our staff, our customers, and society as a whole through our business.siness.
Decidiamo di portare gioia nella vita del nostro personale, dei nostri clienti e della società nel suo insieme attraverso la nostra attività.

Io non vedo gioia.

 

Ho trovato un sondaggio dal quale emerge principalmente che il Pachinko Parlour è un luogo in cui andare da soli.


Una pallina pesa 5,4 gr. una scatola da un dollaro contiene duemila palline, quindi il peso corrisponde a kg. 10,8!

Pensavo … con dieci kg. di caffè quante tazzine possiamo ottenere? laughing

FINCHÉ IL CAFFÈ È CALDO

FINCHÉ IL CAFFÈ È CALDO

Finché il caffè è caldo è il primo dei best seller della trilogia di Toshikazu Kawaguchi川口俊和, ne avevamo già parlato qui

Tra l’altro, leggendolo, ho trovato anche una bella descrizione sull’ormai famoso caffè del sifone

Nel libro viene descritto come caffettiera a depressione, però a me non piace granché la parola “depressione” unita alla caffettiera, che invece rappresenta un piccolo momento felice.

Ad ogni modo il rituale è raccontato così:

Nagare versava acqua calda in un’ampolla inferiore, poi la portava a ebollizione per consentirle di salire attraverso il sifone nell’ampolla superiore, dove versava il caffè macinato, che veniva poi filtrato di nuovo nell’ampolla inferiore.

Il caffè ha un ruolo importantissimo nella particolarità delle storie raccontate in Finché il caffè è caldo, storie che toccano nel profondo.

Se tu avessi la possibilità di dire qualcosa che avresti dovuto o voluto dire, in un momento che però è già fuggito via, cosa sarebbe?

Lo so, qui si va molto sul personale, perché questi pensieri in genere sono dedicati agli affetti.

Condividi pure tutto ciò che vuoi.

Io intanto proporrei anche una variante più fantasiosa, un po’ alla keep calm

Come ad esempio far presente a Michael Stipe che la decisione dei R.E.M. “di smettere di essere una band” ha causato una perdita per la musica.

Oppure, volendo rimanere in Giappone, chiedere a Sofia Coppola se aveva previsto quanto i fan di Lost in Translation non avrebbero permesso che il sussurro “si frapponesse” tra loro e la curiosità di scoprire le parole di Bill Murray nell’orecchio di Scarlett Johansson

O ancora semplicemente ringraziare Meryl Streep ora e sempre per aver dimostrato al mondo che la vera Bellezza non ha canoni, e che produrre King Kong avrebbe dovuto presupporre la conoscenza dell’importante messaggio di fondo su chi sono i veri mostri.

Tutto ciò sempre e solo finché il caffè è caldo

Devo riconoscere l’idea indubbiamente geniale dell’autore, che tra l’altro ha fatto una scelta inconsueta per il contesto: nel libro stesso ci racconta che

il caffè era arrivato in Giappone nel periodo Edo, verso la fine del XVII secolo. All’inizio non soddisfaceva le papille gustative giapponesi, e di sicuro non veniva considerato una bevanda gradevole, ma del resto non c’era da stupirsi visto che sapeva di acqua nera e amara …

Per fortuna poi le cose sono cambiate laughing

E tu, hai amato il caffè da subito oppure hai vissuto una evoluzione?

IN GOOD COMPANY

IN GOOD COMPANY

È il titolo di uno dei moltissimi film di Scarlett Johansson, ma direi che è un’ottima didascalia anche per questa immagine.

Natalie Portman è in effetti una buona compagnia con la quale condividere un caffè.
Con lei Scarlett ha condiviso anche la sorellanza sul set del film nel quale interpretavano Anna e Maria Bolena che purtroppo non ho ancora visto. Tu?

In compenso ne ho visti molti altri, a partire da L’uomo che sussurrava ai cavalli, nonostante avesse già lavorato in altre pellicole: ha infatti iniziato giovanissima e la sua carriera è stata un crescendo variegato di personaggi e generi nei quali ha spaziato sempre con successo.

In questi giorni però mi ha colpita la sua immagine rigorosamente senza sovrastrutture, quasi a sottolineare ancor di più l’accoratezza dell’appello per la liberazione di quattro persone detenute in Egitto, tra le quali noi conosciamo in particolare il caso di Patrick Zaki.

Prima di venire arrestato durante una visita alla famiglia, Patrick Zaki frequentava l’Università di Bologna che in questi mesi si è spesa in molte iniziative in suo favore anche a cura dello stesso rettore che lo ha ricordato nel discorso di apertura dell’Ateneo.

Ma sono le parole di Scarlett a colpire nel segno: “Dire la propria in Egitto è pericoloso” e per me risuonano particolarmente terribili anche alla luce di ciò che è accaduto a Giulio Regeni.

Dopo questo messaggio tre persone sono state scarcerate, ma non Patrick Zaki, anche se a sorpresa, oggi ci sarà l’udienza che dopo il rinnovo della custodia cautelare era prevista per gennaio.

Uniamo dunque le speranze che presto anche Zaki possa ritrovarsi in good company.

E soprattutto continuiamo tutti a difendere un valore fondamentale e importantissimo: la libertà di pensiero e di parola.

Avevo già citato Evelyn Beatrice Hall:Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo.

E visto che recentemente ho parlato di George Orwell citerei anche
Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuole sentire.

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