LA VERITÀ NON LA VOGLIONO

LA VERITÀ NON LA VOGLIONO

 

 

 

“Fanno passare gli anni sperando che quando verrà la mia ora non ci sarà più nessuno che continuerà a insistere per chiedere verità e giustizia …”
Queste sono le parole, dure quanto assolutamente lecite, di Luciana Riccardi, pronunciate in un’intervista a marzo 2017 in occasione del ventitreesimo anniversario dalla morte della figlia: Ilaria Alpi.
Poco più di un anno dopo, nel giugno 2018, l’ora che la signora Luciana attendeva è arrivata, ma la sua voce continua a parlare.
Parla attraverso tutti coloro che ancora credono nella giustizia, e parla attraverso tutti coloro che riconoscono ammirazione e rispetto per lei.
Nel frattempo sono state ascoltate le parole che la sorella Annamaria Riccardi ha scritto in una lettera prima dell’udienza di archiviazione conclusasi a ottobre 2019: il magistrato ha concesso altri sei mesi di indagini per cercare di arrivare alla verità. Questo termine di 180 giorni è scaduto ad aprile ma per ora rimane congelato come tutto il resto.
In realtà la verità è bloccata da molto più tempo, un tempo lunghissimo.
Chi ha aiutato Jelle a fare quello che ha fatto?
Chi lo ha pagato?
Perché lo hanno fatto?
Queste sono le tre domande che la signora Luciana ci ha lasciato nella sua intervista a Chiara Cazzaniga per Chi l’ha visto.
Chiara Cazzaniga in particolare ha un ruolo fondamentale per le indagini: è lei che con inarrestabile caparbietà convince Ali Rage Amhed, detto Jelle, a venire in Italia a testimoniare per l’innocenza di Hashi Omar Hassan in carcere con una condanna di 26 anni, dopo che Federica Sciarelli, sulle basi di una serie di dubbi sulla sua testimonianza, la incarica di provare a rintracciarlo.
Chiara infatti lo trova a Birmingham dove vive, dove ha una famiglia, e dove guida gli autobus di linea, nonostante risulti ufficialmente irreperibile per la procura.
Ma chi sono esattamente Jelle e Hashi?
Entrambi somali, sono accumunati dal desiderio di scappare dalla Somalia, e dal fatto che il 20 marzo 1994 nessuno dei due si trova sul luogo in cui gli inviati Rai Tg3 Ilaria Alpi e Miran Hrovatin vengono assassinati.
Eppure nel gennaio 1998 Hashi, a Roma per testimoniare contro presunte violenze dei militari italiani in Somalia, viene arrestato per concorso nel duplice omicidio, accusato da Jelle.
Jelle addurrà, come giustificazione alla sua menzogna, di averlo fatto per poter espatriare: gli vengono infatti concessi un lasciapassare e un lavoro presso un meccanico che ripara le autovetture del Ministero degli Interni. E dichiarerà di essere scappato dopo la deposizione alla Digos, proprio confidando sul fatto che in tribunale non sarebbe stato possibile condannare Hashi se lui non si fosse più presentato: “guarda io non l’ho fatto tanto per i soldi … ne ho presi ben pochi perché comunque non ho portato a termine il lavoro … ma avevo raggiunto il mio scopo che era quello di andare via dalla Somalia … e non pensavo che se non mi fossi presentato a processo un innocente sarebbe finito in carcere, e soprattutto pensavo che qualcuno comunque avrebbe verificato quanto da me raccontato” .
È quello che ci si aspetterebbe dalla giustizia.
Di fatto però le cose sono andate diversamente.
Tre milioni di euro sono la cifra riconosciuta a titolo di risarcimento per i 17 anni trascorsi in carcere da un innocente, verrebbe da chiedersi se è questo il prezzo di un depistaggio.
No, purtroppo il prezzo è ben più alto, le vicende sono molto più intricate e piene zeppe di incongruenze per le quali Giorgio e Luciana Alpi hanno continuato a chiedere spiegazioni, invocando una verità che non è ancora arrivata.
Una verità che era scritta sul taccuino di Ilaria, sparito, una verità sepolta probabilmente sotto la strada Garoe-Bosaso, una verità tossica.

Giustizia, non violenza, diritti umani, questi i temi dei servizi giornalistici d’inchiesta presi in considerazione per il conferimento del premio Ilaria Alpi.
Ospiti autorevoli all’edizione 2007: Zoe Eroshok giornalista di Novaja Gazeta e Ilya Politkovsky, figlio della giornalista russa assassinata a Mosca Anna Politkovskaja alla quale l’evento è stata dedicato.
Storie diverse ma con un denominatore comune:
“L’unico dovere del giornalista è scrivere quello che vede.”

Visita l’archivio.

LUPO BIANCO O LUPO NERO?

LUPO BIANCO O LUPO NERO?

 

Nel periodo in cui stiamo vivendo, tra i numerosi aspetti che hanno preso il posto di quella che era la nostra quotidianità prima, si osservano anche forme di comportamento non esattamente sociali, per non dire per nulla amichevoli.
In effetti l’idea che il vero io di alcune persone affiori soltanto in casi di emergenza o di forzatura, è latente da sempre, ne entriamo in contatto attraverso detti oppure leggende, proprio come quella del lupo bianco che è gioia, amore della pace, speranza di serenità, umiltà, benessere, benevolenza, empatia, generosità, verità, compassione e fede; o del lupo nero che è rabbia, invidia, gelosia, dispiacere, rimpianto, autocommiserazione, avidità, arroganza, colpa, risentimento, inferiorità, bugie, falso orgoglio, superiorità ed ego.
L’origine ufficiale si perde nel tempo: la fonte è stata tramandata oralmente, ma ho trovato questa Tale of the two wolves (Racconto dei due lupi).
Ogni individuo ha dentro di sé entrambi i lupi e dei due vincerà colui che si deciderà di sfamare.
Dunque il libero arbitrio.
Concetto tanto ampio quanto dibattuto.
Tra le innumerevoli discussioni che si perdono nella storia, tra natura e cultura, tra filosofia e scienza, riemerge un esempio: l’esperimento di Stanford.
Nel 1971 un giovane professore di psicologia dell’università di Stanford: Philip Zimbardo ricreò una prigione nel seminterrato dell’ateneo e selezionò 24 studenti tra 70 candidati che si erano offerti, facendo vari test che ne accertassero ad esempio l’assenza di malattie, di dipendenze, e di precedenti penali. Questi studenti vennero suddivisi equamente e in maniera casuale in due gruppi: carcerati e guardie.
Lo scopo era dimostrare l’impatto delle variabili situazionali sul comportamento umano.
L’effetto Lucifero, questa è la definizione data al risultato dell’esperimento, interrotto dopo soli 6 dei 14 giorni previsti, a causa di episodi vessatori e violenti da parte delle guardie nei confronti dei carcerati.
Questo effetto è stato indotto anche dalla de-individualizzazione: le guardie nel ruolo istituzionale, dietro divisa e occhiali a specchio, che conferivano una sorta di anonimato individuale appunto, hanno mostrato di lasciar emergere il loro lato peggiore.
Lo stesso ZImbardo ha dichiarato di essersi fatto prendere dal ruolo di direttore del carcere e proprio l’accusa di aver indotto e pilotato alcune dinamiche, ha portato copiose critiche e tesi a confutare la validità dell’esperimento.
Dunque ora, assistendo a svariate tipologie di sfoghi non solo virtuali, forse possiamo considerare il fatto che alcune persone si sentano “prigioniere” e altre assurgano il ruolo di “guardie”.
Quello che possiamo fare è cercare di rimanere noi stessi e di non sfamare il lupo cattivo … e nemmeno l’effetto Lucifero.

 

 

 

LA GUERRA DEI MONDI

LA GUERRA DEI MONDI

A che ora è la fine del mondo?”
No, partiamo dall’inizio: La guerra dei mondi è un romanzo scritto da H. G. Wells, tra i precursori del genere fantascientifico, originariamente pubblicato a puntate nel 1897 sul Pearson’s Magazine a Londra.
Primo aneddoto curioso: H. G. Wells prese in parte ispirazione dalle teorie di Giovanni Schiaparelli su Marte  (e se mi leggi sempre ricordiamo il nostro save the date 🙂 )
L’astronomo, nonché direttore dell’Osservatorio Astronomico di Brera a Milano, osservò alcune linee sulla superficie del pianeta rosso, e ipotizzò che potessero essere canali naturali per il trasporto di acqua poiché mutavano da una osservazione all’altra.
A questo punto ci sta un altro bel sorriso perché qual è uno dei tasti dolenti per tutti noi italiani? La conoscenza dell’inglese!
Perché dico questo? Perché i suoi canali naturali vennero tradotti con il termine sbagliato che travisò la teoria trasformandoli in canali artificiali. Da qui il presupposto che fossero stati scavati da … marziani, per l’appunto.
Questi famosi “marziani” che hanno popolato le fantasie di molti, incarnando le più svariate forme e descrizioni, prima di venire soppiantati dai più universali alieni.
Questi famosi “marziani” che hanno ispirato prima Wells e poi anche Welles, Orson Welles.
Curiosa anche questa coincidenza, li separa una e ma soprattutto una invenzione brevettata, altro dato curioso, sempre nel 1897, sempre a Londra, e sempre da un italiano: Guglielmo Marconi.
Perché passo a parlare di radio? Perché nel frattempo arriviamo nel 1938 è la radio è ancora la neonata tra i mass media e, esattamente come funziona oggi per internet, viene vista come una forma di comunicazione potenzialmente pericolosa, in quanto veicolo di mutazione sociale, per la rapidità di diffusione alla facile portata di un numero elevato di persone, e soprattutto dannosa per i colossi dell’editoria, preoccupati di perdere i loro introiti.
E ed è proprio alla CBS che Orson Welles conduce The Mercury Theatre on the Air: un programma costituito dalla narrazione dei grandi classici della letteratura, per la verità mal pagato e non molto seguito.
Ma Orson, allora attore shakesperiano, esprime il suo genio usando il programma anche per assestare un colpo al sistema, decidendo di dare il taglio di un notiziario in tempo reale, e in vista dell’imminente Halloween, struttura l’invasione marziana descritta nel libro come una radiocronaca in tempo reale.
È infatti il 30 ottobre 1938 quando va in onda la lettura dell’incipit de La Guerra dei Mondi, intervallata da trasmissioni musicali, come di consueto, finché un annuncio interrompe la musica e traspone il testo ambientandolo negli Stati Uniti. Con l’aiuto dello sceneggiatore Howard Koch, vengono inserite finte interviste ad esperti, imitazioni di comunicati delle autorità, ed effetti sonori ai quali Orson Welles presta una cura particolare.
All’inizio e nel corso della trasmissione viene chiaramente dichiarato che si tratta della trasposizione del romanzo, ma molti si sintonizzano in momenti diversi e l’effetto illusione creato ad arte riesce perfettamente.
Si narra della telefonata di un uomo al New York Times per chiedere appunto “a che ora è la fine del mondo?” alla quale fa riferimento il famosissimo brano scritto da Michael stipe dei R.E.M.
C’è un coro che sostiene la esagerazione delle stime che contano le persone corse in strada, le scene di panico, o l’isteria, e sinceramente non intendo soffermarmi sui numeri, dal momento che, specialmente in questo periodo, non se ne può più di sentire tragici conteggi.
Di fatto, a Grover’s Mills nel New Jersey, esiste una targa commemorativa con la seguente iscrizione:
La sera del 30 ottobre 1938 Orson Welles e The Mercury Theatre presentarono una drammatizzazione di H.G. Wells La guerra dei mondi adattata da Howard Koch. Questo doveva diventare un punto di riferimento nella storia delle trasmissioni, provocando continui pensieri sulla responsabilità dei media, sulla psicologia sociale e sulla difesa civile. Per un breve periodo, oltre un milione di persone in tutto il paese credevano che i marziani avessero invaso la terra, a partire da Grover’s Mill, nel New Jersey.
La cosa importante che Orson Welles più o meno volontariamente ci ha dimostrato, è che le persone sono portate a credere piuttosto incondizionatamente ciò che viene loro comunicato dai mass media mainstream.
Quante volte ci siamo sentiti dire “lo ha detto la TV?”
Quanti hanno cura di verificare le notizie?
Questa volta mi sono dilungata oltre il tempo del caffè, ma oggi forse possiamo concederci anche il cioccolato, che dici?
Però ora concludo con l’ultima strana coincidenza: ne La Guerra dei Mondi i marziani vengono sconfitti da un virus.

PILLOLA ROSSA O PILLOLA BLU?

PILLOLA ROSSA O PILLOLA BLU?

Pillola rossa o pillola blu?
Si usa molto suddividere le generazioni: Millennials, Generazione X, Boomers e così via; nonostante il cammino in comune, ognuna ha una visione particolare su diversi archi di tempo contraddistinti ovviamente dagli accadimenti che li hanno caratterizzati.
Molti di noi forse non avevano mai avuto una esperienza concreta su determinati tipi di emergenze, e la prova generale di panico alla quale stiamo assistendo in questi giorni sicuramente apre vari scenari inediti o perlomeno mai presi in considerazione seriamente.
Si sente e si legge tutto e il contrario di tutto e le domande scoppiano come una incontenibile quantità di chicchi di mais esposta al calore.
Eppure osservo, tu come sempre correggimi se sbaglio, che la maggior parte delle persone continua a rinchiudere le faccende tra i quattro angoli del proprio orticello. Comportamento dal quale ad esempio deriva la corsa a pasta farina e zucchero nei supermercati. Come se avere un tot di scorta nella propria dispensa potesse bastare a chiudere fuori dalla porta tutto il resto.
Domanda: quale può essere il motivo?
Basta davvero lavarsene le mani?
Ma, al di là dello specifico, anche in un contesto di normale routine, non ti sembra che in generale le persone preferiscano non affrontare riflessioni che potrebbero portare a conclusioni scomode o indesiderate?
Inevitabile ricordare la celeberrima esemplificazione del libero arbitrio formato Matrix:

 “Pillola azzurra: fine della storia. Domani ti sveglierai in camera tua e crederai a quello che vorrai.
Pillola rossa: resti nel paese delle meraviglie e vedrai quanto è profonda la tana del Bianconiglio.
Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più.”

Tra le innumerevoli interpretazione e dissertazioni c’è anche l’ipotesi che la blu sia la scelta del dogmatico, ma io vorrei rimanere al concetto più basico: quanti sceglierebbero la pillola rossa?

 

VERITÀ O SURROGATO?

VERITÀ O SURROGATO?

Verità o surrogato?

Come ti rapporti tu con i sostituti del caffè?
Caffè di orzo, caffè decaffeinato: sono valide alternative per chi per vari motivi deve rinunciare al caffè vero, oppure se non caffè, meglio lasciar perdere e bere altro?
Mi sono ritrovata in testa questo pensiero sui surrogati, mentre ascoltavo le notizie.
La verità secondo te esiste ancora? Sempre più spesso io ho l’impressione di dovermi bere una lunga serie di sostitutivi, o peggio ancora, mi sembra di dover ingoiare l’ormai famigerato Parmesan, come se fosse scontato che tanto va bene anche se non è quello vero, perché in fondo ciò che costa meno conviene.
Dunque sentire che un soldato si confonde e abbatte un aereo di linea in fase di decollo scambiandolo per un caccia americano, per me è un boccone di Parmesan, ma tutti lo mangiano, va bene così, proseguiamo pure le nostre cose, non importa se comunque la si guardi, è paradossale.
Senza voler fare geopolitica da bar, non ti inquieta pensare che sia considerato plausibile che un soldato, da solo, nell’era in cui controlliamo persino la lavatrice con una semplice applicazione sul cellulare, possa lanciare un missile senza autorizzazione, senza verifiche, senza certezze, senza senso?
Non lo chiameresti Lee Harvey Oswald?
O forse sono io che, reiteratamente delusa, vedo sempre più la verità come una Tigre Siberiana: magnifica, ma ormai quasi estinta.

 

 

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